C'era una volta

Tutte le belle favole iniziano con “C'era una volta”, ma non tutte finiscono con il classico “vissero tutti felici e contenti”, quello che amo definire l'Happy Ending di ogni storia.
Quando scoprii che nella versione della fiaba della “Sirenetta” di Andersen (quella originale, tanto per intenderci) la principessa dei mari moriva suicida tra la spuma dell'Oceano, caddi in depressione. Fortunatamente superai il trauma, convincedomi (o forse facendomi convincere) che avere una love-story con una ragazza che parlava con i pesci e che aveva le pinne al posto delle gambe forse non era il massimo delle aspettative. Bisognoso di aggrapparmi ad una bella storia, una fiaba tutta mia, trovai nella “Bella addormentata nel bosco” uno stimolo per continuare a sognare.
Avevo addirittura fatto lo sforzo di accettare l'idea di avere come suocere le tre fate grassocce della fiaba. Poi scoprii che, nella versione originale di Perault, Aurora veniva stuprata nel sonno dal buon Principe per ben due volte. Trauma infantileDisperato, cercai rifugio nell'ultima donna di cui mi sarei innamorato nella vita: Pocahontas.
Mi piaceva il pensiero di vivere nel bosco assieme ad un'indiana premurosa.
Peccato che la selvaggia Pocahontas, nella versione integrale della fiaba, venne uccisa dagli Inglesi.
Incredibile. Nel giro di pochi mesi le onde del mare, un principe poco elegante e gli Inglesi mi avevano portato via i miei sogni. E fu così che all'età di sei anni decisi che sarei rimasto scapolo a vita, in attesa di un mio insperato Happy Ending. Oggi, a 17 anni posso dire, con una sicurezza estrema, di aver trovato il mio finale perfetto, l'ultima indimenticabile riga delle favole.
Ho già parlato nello scorso articolo della storia del Leicester City e dei suoi scudieri, ma, non me ne vogliate, in questo momento storico non posso fare a meno di parlarne ancora.
Perchè quelle che fino ad un paio di mesi fa erano semplicemente supposizioni e speranze adesso sono diventate realtà.
La vittoria del Leicester City ha appassionato migliaia e migliaia di tifosi.
E' stata la vittoria del proletariato del calcio sui paperoni dello sport.
E' stata la vittoria di Claudio Ranieri, “ The Normal One”, capace di farci capire che le favole possono diventare realtà, ma anche che la realtà può mutare in una favola.
E' stata la vittoria di noi, “The Normal People”, che, per alcuni mesi, abbiamo adottato segretamente una seconda squadra del cuore, abbiamo instaurato una pericolosa relazione amorosa segreta con una ragazza di cui ci vergognamo a parlare ai genitori (e soprattutto alla vera fidanzata, vedi, nel mio caso, la Juventus) e abbiamo trovato un amico fedele su cui poter fare affidamento nel momento del bisogno, tutte le Domeniche, dalle ore 15:00 alle ore 16:30.
E' stata la vittoria delle piccole realtà.
E' stata la vittoria dei sognatori, di quelli che lo hanno sempre sperato, di quelli che lo hanno sempre saputo e di quelli che non ci hanno mai creduto veramente.
Ma, soprattutto, è stata la vittoria di una città come quella di Leicester, paesone di 300.000 anime, con un tasso di immigrazione che ristagna tra i livelli più vertiginosi del Regno Unito.
Per una volta l'unione e la passione che poteva trasmettere solo una squadra formata dall'ex operaio che fino a due anni fa non poteva giocare la sera perchè costretto agli arresti domiciliare (Vardy), dal ragazzo di strada (Mahrez), dagli scarti della grandi squadre (Fuchs, Allbrighton e Simpson), dal figlio di immigrati cresciuto nelle case popolari e sottratto ad una vita deliquenziale (Morgan), dal figlio d'arte (Schmeichel), dal burbero e scontroso tedescone (Huth), dal falegname della Patagonia mancato (Ulloa), dal nanetto che sembra nato tra gli altopiani del Kenya per la sua corsa inesauribile (Kanté), dal giapponese che ride sempre (Okazaki) è riuscito a sconfiggere la diffidenza, la paura del diverso e il timore, impotenti di fronte all'amore, espresso in ogni sua forma. Forse ci vorrebbero più Leicester.
Un'impresa che va aldilà del semplice miracolo sportivo.
Un'impresa che ci dimostra cosa può fare la volontà, la voglia, l'orgoglio, la semplicità.

Molti penseranno che io sia un folle, che in fondo il calcio è solo calcio, un gioco nato per fare divertire e per vendere, uno spettacolo, ma chi dice questo non riesce a comprendere appieno la portata di questa cavalcata trionfale e il sistema del Gioco. Altrimenti la gente non farebbe pazzie, non si mangerebbe le unghie guardando le partite, non starebbe in casa con una frittata di cipolle a sbraitare contro persone che non possono fisicamente sentirti e non passerebbe le giornate a pensare ad un tiro piazzato sul secondo palo.
Credete che il calcio sia solo calcio?
Chiedetelo a Mr. McKinney, professione vescovo della città di Leicester, che, nella notte tra il 2 e il 3 Maggio, ha ricoperto, ripeto, RICOPERTO, di blu, assieme ad alcuni discepoli, una chiesa del paesone.
Chiedetelo al Signor Gary Lineker, leggenda del calcio inglese, che sarà costretto a presentarsi alla prossima telecronaca in mutande bianco-blu.
Chiedetelo alla macelleria della città Britannica che ha inventato le “Ranieri Sauces”, le salsicce di Ranieri.
Chiedetelo a John Pryke che ha scomesso 20 £ sulla vittoria della sua squadra del cuore quotata dai bookmakers 5000:1 (tanto per intenderci, era più probabile che Papa Francesco iniziasse a suonare con i Black Sabbath o che gli alieni sbarcassero nello Yorkshire) e adesso si ritrova con 100.000 sterline nel portafoglio.
Chiedetelo al tifoso che, probabilmente, in questo momento, mentre voi state leggendo l'articolo, si sta tatuando il volto festoso di Jamie Vardy sulla natica sinistra.
Chiedetelo al tifoso che è partito il mattino del 3 Maggio intraprendendo un'allegra scampagnata, complice la scommessa persa, in direzione della punta più estrema della Scozia.
Chiedetelo ai proprietari dei pub di Leicester, inguaiati causa esaurimento scorte di fusti di birra dovuto alle pazzie della notte inglese.
“Il calcio è strano” ripete spesso il giornalista sportivo Fabio Caressa.
Forse sì, il calcio è strano, il calcio fa fare cose strane, pazzie.
Ma, a pensarci bene, qualcosa che faccia fare pazzie ci deve essere, altrimenti vivremmo come automi, in attesa di un triplice fischio che sancisca la fine della nostra esperienza e, quindi, meglio così.
Viviamo la nostra vita in attesa di momenti come questi, attimi che cambiano i connotati di una giornata, un mese, un'esistenza.
Viviamo in attesa di un Happy Ending che sia diverso dal finale di una fiaba di Perault o dei fratelli Grimm.
Vi presento la storia Leicester, la storia di uomini che si sono battuti per il loro Happy Ending e, alla fine, ce l'hanno fatta.



Lorenzo Brusco III A scientifico

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