La rivoluzione indipendente di cui non ci accorgiamo



Rimuovendo appena qualche foglia dal sottobosco musicale contemporaneo, ai più sarà capitato di imbattersi in un Universo chiamato indipendent: indipendente. Ma che cos’è? A partire dalla rivoluzione punk di fine anni settanta si è diffusa l’idea (prima in Inghilterra, permeando poi negli altri paesi e lentamente anche in Italia) di una nuova cultura, una nuova sensibilità artistica e filosofica, che fosse scollegata dal pensiero comune, che rompesse le regole e che disturbasse chi si era concesso il lusso di accomodarsi in poltrona e guardare la realtà da dietro le tende dei propri principi.


In campo musicale, questa voglia di novità e di libertà si riflette nella mancanza di etichette discografiche, contratti radio e apparizioni tv, alimentando il fenomeno del “fai-da-te” artistico.


La musica indie, contrariamente all’idea comune, non è un genere, bensì una scelta, la scelta di farcela da soli in un mondo in cui le quattro etichette discografiche maggiori (in gergo major) detengono il 90% della produzione musicale a livello globale. Ma è veramente possibile partire dal proprio garage e arrivare sui grandi palchi senza che qualche uomo incravattato con molti orologi e nessuno scrupolo ti guardi le spalle? Ottimisticamente sì, ed è possibile grazie ad internet, alle sue piattaforme e a tutti quelli a cui la radio e i tormentoni estivi non bastano più.


Ma il fenomeno indipendente non si è limitato al mondo musicale, estendendosi a tutte quelle arti che in questo mondo abituato a ragionare per fama e non per fame (intellettualmente parlando) hanno, o meglio avrebbero bisogno, di promozione: così nasce il cinema indie, che rifiuta i maggiori circuiti di distribuzione e la cosiddetta editoria indipendente, che ha una fervida produzione in prosa e poesia senza l’intervento di alcuna multinazionale.


E’ così che il mondo indie si propone, genuino e decisamente senza ambire al mito, regalando molto spesso ai suoi sostenitori nuovi spunti di riflessione che aiutano a sviluppare uno spirito critico e un disgusto verso le banalità, che in una società che da tempo ormai usa come mattoni luoghi comuni e per cemento stereotipi non è assolutamente da lasciare in disparte.


Ma tra tutti i fiori preziosi della rivoluzione indipendente (che “non passerà in tv”) qualche potenziale erbaccia c’è: la ricorrente, pericolosa “inflazione” (e se vogliamo fraintendimento) dell’alternativo.


Non ha una particolare accezione storicistica (ossia legata al momento in cui ci troviamo a vivere) il bisogno di ognuno di distinguersi dagli altri. C’è chi pratica la propria originalità attraverso l’abbigliamento, chi con l’atteggiamento e chi grazie ai gusti, specie in fatto di musica, campo che per la gioventù gioca sempre in una posizione fondamentale. “You are what you listen to”, “tu sei quello che ascolti”, un’affermazione simbolo della mentalità che sempre più spesso porta alla creazione di vere e proprie lobby del gusto. Proprio perché il mondo indie è considerato obiettivamente alternativo rischia di perdere il suo accento “di nicchia” e diventare oggetto di un approdo in massa di persone che cantano ideali che non comprendono, come già è successo, ad esempio, con il punk, solo perché essere “diversi” va di moda.





Sarà quindi questo il momento in cui la musica indipendente smetterà di essere indipendente?

Greta Kovacic I Cl.

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