Cerchiamo di capirci.



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“Divergent”, di Veronica Roth, è il primo dell’omonima trilogia distopica ambientata in una Chicago post-bellica in cui tutta la popolazione è suddivisa in cinque gruppi, le fazioni, ciascuna animata da  un valore portante: gli  Abneganti  sull’altruismo, i Candidi sulla verità, gli Eruditi sulla conoscenza, gli Intrepidi sul coraggio e, infine, i Pacifici, sulla gentilezza. A 16 anni i ragazzi devono scegliere il gruppo a cui appartenere per il resto della vita, indipendentemente dalle proprie origini.
È proprio a questa età che la protagonista “Tris” Prior, nuova Intrepida, si trova di fronte ad un enorme problema: la sua Divergenza. La ragazza, durante il test che le avrebbe consigliato la fazione a lei più adatta, risulta infatti idonea non ad una ma a ben tre fazioni: ciò la rende estremamente pericolosa agli occhi del governo della città, che mantiene il completo controllo sui cittadini grazie alla rigida divisione della società.
I Divergenti, proprio grazie alla loro peculiarità, sfuggono a questo controllo sistematico, poiché non appartengono completamente a nessuna fazione, ma al contrario sono poliedrici e capaci di agire seguendo modelli di comportamento unici e non conformi alla massa. Essi sono quindi il risultato dell'unione di più valori, oppure nessuno in modo completo?  Sono più "giusti" o più "sbagliati" del resto della popolazione?
Queste sono le domande che la ragazza continua a porsi. In ella risiede solo quello che si potrebbe definire il meglio delle tre fazioni a cui potrebbe appartenere, ma, nonostante ciò, continua a sentirsi diversa, sbagliata, per il suo avere molteplici sfumature in una società di individui monocromatici.
La situazione della protagonista è purtroppo facilmente applicabile al nostro presente. Molto, anzi, troppo spesso i ragazzi si sentono sbagliati o fuori posto semplicemente perché pensano, parlano o agiscono in modo diverso rispetto alla massa e per questo vengono esclusi dal gruppo. L’esclusione porta quindi a rinnegare la propria vera identità e a sostituirla con elementi che ci rendono conformi, che eliminano le divergenze.
La prima cosa da fare per ovviare a questo problema è, prima ancora di farsi accettare dagli altri, accettare se stessi e ciò che si è. Capire cosa siamo, cosa vogliamo diventare, quali sono i nostri obiettivi e i nostri sogni e tenerli sempre a mente. In secondo luogo è estremamente importante che ognuno impari a vivere senza l’approvazione degli altri, ma, paradossalmente, questo insegnamento si apprende meglio confrontandosi con le opinioni e i pensieri altrui. Mettendosi in relazione con altre persone, infatti, si viene a conoscenza delle idee di quest’ultime e, di conseguenza, del nostro modo di porci rispetto a esse, senza però farsi condizionare, restando sempre coerenti con noi stessi e assumendoci l'onere, ma ancor di più l'onore, di pensare con la nostra testa.
Infine è fondamentale che ciascuno ricordi questo: non dobbiamo essere di un solo colore, dobbiamo essere, o meglio, dobbiamo voler essere di migliaia di sfumature. Solo in questo modo nessuno potrà controllarci e spingerci a fare ciò che vuole. Solo così le “fazioni” che la società cerca di costruire potranno cadere. Solo capendo chi siamo potremo essere liberi.

Irene Canonica, 2^D linguistico.

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