Il coraggio di essere felici.

 “Mi chiamo Antonio De Marco, ho 21 anni e studio scienze infermieristiche. Sono un ragazzo timido, riservato e ho difficoltà ad inserirmi nell’ ambito sociale. Ho avuto poche relazioni, spesso le ragazze mi evitano, preferendo ragazzi più spumeggianti, solari, attraenti. Ho una compagnia di amici conosciuti grazie all’ università, spesso escono e vanno in bar o in locali dove organizzano varie feste per le più disparate motivazioni. Io preferisco uscire al pomeriggio, quando meno gente intralcia la mia strada. Non mi piace particolarmente ballare, né farmi notare, mi piace piuttosto passare in secondo piano e osservare, giudicare, ispezionare l’ambiente che mi circonda. Secondo i miei amici sono un ragazzo tranquillo, normale, inoffensivo, un semplice futuro infermiere. Ma dimostrerò quanto invece io possa essere pericoloso.

Mi definisco un serial killer.

Lo scorso ottobre ho contattato un ragazzo, Daniele De Santis, per affittare un appartamento all’ interno della sua abitazione in via Montello, a Lecce, per motivi universitari. Il 30 ottobre mi trasferii e poco dopo conobbi la donna, Eleonora Manta, sua compagna. Rimasi in quell’ appartamento un mese, ma già dopo pochi giorni mi ero reso conto dell’errore commesso. Il mio coinquilino portava in casa la sua ragazza, e io non facevo altro che sentire le loro risate, i loro discorsi. Ho provato subito un odio profondo per Eleonora. Al contrario inizialmente mi trovai bene con Daniele, ma capii che era una illusione. Il 30 novembre lasciai la casa, ma non mi liberai del risentimento e della rabbia provata nei loro confronti. Il 6 Luglio, però, chiesi nuovamente la camera a Daniele per svolgere un tirocinio in zona. Eleonora era ormai sempre più presente in quella casa, e non solo, la coppia sembrava ancora più felice rispetto all’ anno passato. Il 28 di agosto venni sfrattato. La mia camera serviva perché sarebbero andati a vivere assieme. Non solo sono stato totalmente indifferente ai loro occhi, non solo sono stato ignorato, ma sono stato deriso dalla loro stessa felicità.

Da quel momento ho capito che il mio era un bisogno di vendetta. Non tanto per cercare la mia felicità, quanto per avere la soddisfazione di toglierla a loro, di togliere loro tutto. Dopotutto so che la vendetta non risolve il problema, ma per pochi istanti ti senti soddisfatto. Ho iniziato a studiare il piano e a scrivere il cronoprogramma del duplice omicidio. Ho fatto una mappa della zona limitrofa alla casa studiando il percorso per evitare le telecamere. Ho perfezionato ogni dettaglio: nel momento in cui entrerò in casa io indosserò una maschera, avrò un’ora e mezza per torturarli. Dopo averli uccisi lascerò al pubblico una scritta : “Mi avete creduto inoffensivo e inutile, ecco la mia vendetta”. Successivamente tornerò a casa, forse un po' più in pace con me stesso.”


Il 21 settembre i due corpi sono stati trovati. Eleonora sfigurata da 35 coltellate, Daniele 25. Sono state ritrovate fascette che sarebbero servite per legare i corpi e torturarli e i foglietti rappresentanti il piano e il percorso. Il delitto è avvenuto in una decina di minuti ed è stato attuato con puro odio. La vicina di appartamento vide delle ombre attraverso lo spioncino, la scena descrivendo le urla delle vittime e la violenza del gesto. Dopo pochi giorni ci furono i funerali. Quella sera stessa il carnefice partecipava a una festa di compleanno di una compagna di università, allegro, spensierato. Decise quella sera di ballare; sul suo viso era stampato un sorriso, sul viso di altri, invece, le lacrime segnavano solchi indelebili. Sarà arrestato una settimana più tardi.

La criminologa Isabel Martina ha analizzato Antonio. Non si tratta di un serial killer, né di una persona psicologicamente malata. Durante gli interrogatori l’assassino ha spiegato come il solvente e la soda caustica portati con sè (probabilmente per cancellare le tracce) servissero per bollire e sciogliere i corpi, proponendo probabilmente un omaggio a Leonarda Cianciulli, la “saponificatrice di Carreggio”. E’ un narcisista che cerca di associare la sua immagine a un mostro temibile, è un misantropo che ha visto in Eleonora l’archetipo di tutte quelle ragazze che nella vita lo hanno ignorato. E’ stato spinto dalla rabbia e dall’ invidia. Ma, nonostante questo, come dice la stessa criminologa, è da considerarsi una persona “normale”, senza alcun problema psichiatrico.

Mi sono posta alcune domande, alle quali non ho ancora trovato una risposta:

Se chi nella vita vuole curare persone è capace di compiere atti atroci di questo genere, di chi ci si può fidare? In che momento siamo sicuri di conoscere veramente una persona? Ma la domanda più importante è: possiamo mostrare agli altri la nostra felicità, o dobbiamo tenerla chiusa in una cassaforte come un bene prezioso che può esserci rubato?



Forse la felicità è proprio come un gioiello, che se mostrato attira attenzione e sguardi bramanti.

Forse la felicità è come una medicina potente, che cura ma ha necessari effetti collaterali.

Io non so cosa sia la Felicità, so solo che certe volte per essere felici ci vuole coraggio.

Irene Pizzorno - 5A


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