Intervista impossibile a Caravaggio

 


Mi trovavo in visita presso la città di Napoli, quando mi imbattei in uno dei pittori più stravaganti, ma incredibili nell’arte della pittura che ebbi mai potuto conoscere: si trattava di Caravaggio. Egli nacque nel 1571 presso Milano e fin da subito mostrò il carattere burrascoso e la sua grandissima capacità nel dipingere. La fama sopraggiunse presso Roma, dove gli furono commissionate opere sia da committenti privati sia da esponenti della Chiesa. Ben presto, però, inciampò in numerose risse e atti criminosi, a tal punto da essere costretto a fuggire da Roma, per trovare rifugio prima a Napoli e poi a Malta. Dopo essersi allontanato da quel luogo, fece tappa in alcune città della Sicilia e ritornò nuovamente a Napoli, dove lo incontrai. E ora passiamo a quel dialogo, misto intervista, che lo trattenne in mia compagnia per un breve tempo, nonostante le domande e le curiosità su di lui e la sua arte fossero molte di più.


In. = Sono davvero lieta di averla incontrata quest’oggi Caravaggio, le ammetto di essermi totalmente invaghita delle sue opere.

C. = Mi permetta di farle notare che il mio vero nome è Michelangelo Merìsi. Sono tutti convinti che io sia nato in quella località bergamasca, Caravaggio appunto, dalla quale ho ricavato il mio nome d’arte. Comunque, che cosa vuole da me? Non credo di potermi trattenere per molto.

In. = Non si preoccupi, vorrei solo esternarle tutta la mia ammirazione sia per le grandissime capacità artistiche sia per il coraggio dimostrato nel riproporre sotto nuove vesti certe iconografie sacre. Mi potrebbe spiegare che cosa l’ha spinta ad agire in questo modo?

C. = L’arte per me non è qualcosa di immaginario, che esiste solo in potenza, ma pura realtà e tragicità. Infatti, non avrei mai potuto rappresentare la morte della Vergine, ad esempio, come vuole la tradizione, ovvero come qualcosa di gioioso in cui sono presenti schiere di angeli sorridenti, perché questa è una morte ideale, mentre quella reale è pianto e sofferenza. Non dipingerò mai nulla che si allontani dal vero.

In. = In effetti le sue opere spiccano rispetto a quelle degli altri artisti, contemporanei e precedenti. Ma se lei afferma che vuole perseguire la realtà così com’è, perché usa uno sfondo anonimo completamente nero?

C. = Ecco perché, chi non si intende di arte, a volte, non dovrebbe pronunciarsi! Lo sfondo in assenza totale o quasi totale di luce, che lei definisce anonimo, permette di evidenziare al meglio il soggetto o i soggetti rappresentati.

In. = Mi scusi, ma non mi sembra ancora vero di poter parlare con un’artista come lei. Ancora una precisazione sullo sfondo: è stata una sua invenzione?

C.= La domanda mi pare lecita, in quanto questa peculiarità, nell’arte italiana, è qualcosa di atipico, anche se già Antonello Da Messina, prima di me, aveva adoperato questa soluzione. Rispondendo al suo quesito, ho tratto ispirazione dall’arte nordica, più precisamente fiamminga.

In. = Tornando un attimo indietro, se non erro, mi è parso di capire che lei vede la morte della Vergine Maria in modo prettamente fisico senza nemmeno un barlume di religiosità. È per caso ateo?

C. = Non ho mai detto questo. Anzi, il tema religioso ricorre in quasi tutte le mie opere per mezzo della luce. Quest’ultima infatti, grazie a me, non ha più solo funzione costruttiva, ma anche simbolica, o meglio, simboleggia la grazia divina. Io ho deciso, semplicemente, di rappresentare la morte come è su questa terra, rispettando la verità. Certo è che questa mia mania di perseguire la realtà effettiva non sempre mi ha aiutato, ma, bensì, ostacolato.

In. = Ah, sì! Sta parlando dei casi di censura a cui è stato soggetto?

C. = Esattamente, ma non mi interrompa. Sa una cosa, però, non mi è andata per niente giù la censura del San Matteo e l’angelo da parte dei chierici di San Luigi dei Francesi. Si sono scandalizzati perché ho raffigurato Matteo con le gambe scoperte e i piedi in vista e infuriati perché l’angelo guidava la sua mano nella stesura del Vangelo come se fosse un’analfabeta. Evidentemente non hanno inteso che, se realizzo figure di santi come se fossero degli umili, non è per la mia poca fede o per metterli in ridicolo, ma perché in loro vedo la figura di Cristo, fattosi carne e venuto sulla terra per salvare l’umanità. Costretto, quindi, a farne una seconda versione, ho deciso comunque di mettere il mio tocco personale inserendo il bel piede del santo in primo piano. Non hanno più rifiutato la tela.

In. = Posso farle una domanda un po’ indiscreta? Questa tragicità e tremenda realtà che inserisce nelle sue opere dipende anche da vicende personali?

C. = La mia fanciullezza è stata travagliata. Come ben sa sono nato a Milano, ma quando nella città sopraggiunse la peste, la mia famiglia decise di spostarsi a Caravaggio, dove poco dopo mio padre morì. Successivamente fui costretto ad abbandonare i miei cari per diventare allievo del manierista Simone Perterzano, ancora troppo ottuso per aprirsi alle mie innovazioni stilistiche. Dopo un periodo di fama, a causa del carattere burrascoso e irrequieto che possiedo, mi ritrovai coinvolto in diverse risse, fino a quando non uccisi una persona. Fu l’inizio del declino: prima l’emissione della pena di morte, poi la fuga da Roma, i diversi viaggi, Malta e, infine, rieccomi a Napoli. Non lo dica a nessuno, ma sto lavorando al progetto di una nuova opera per chiedere la grazia al papa e poter tornare nell’Urbe eterna. Il tema è la vincita del bene sul male, ma non ho ancora deciso chi saranno i soggetti. Forse Davide e Golia.

In. = Ora capisco perché è così burbero: ha sofferto, e non poco. Certo è che se avesse avuto un carattere più malleabile e cortese, la sua fama sarebbe stata molto più grande, forse come quella di Michelangelo.


C. = Non mi potrei nemmeno avvicinare alla grandiosità del Buonarroti. Nel mio soggiorno romano, non immagina quante volte ho percorso le navate della cappella Sistina ammirando quelle figure di cui sono impregnate le mura. Mi sono ispirato ai suoi ignudi quando ho creato il mio San Giovannino. Mi sono ispirato al dettaglio delle dita di Dio e di Adamo nella Creazione quando ho realizzato la Vocazione di San Matteo.


In. = Il San Giovannino? Non sapevo nulla di quest’opera.


C. = Il committente del dipinto fu un certo Ciriaco Mattei. Lo volle a tutti i costi per celebrare l’onomastico del figlio, che porta, appunto, il nome del santo. Mi stupisco che l’opera non sia stata rifiutata.


In. = Perché dice questo?


C. = Prima di me già Raffaello e, ancora in precedenza, Leonardo da Vinci rappresentarono San Giovanni come un giovane attraente, ma mai nessuno lo aveva mostrato totalmente nudo, con l’aria divertita e con una caricatura di sensualità tutta da condividere con lo spettatore.


In. = L’ho sempre pensato che lei è un misto di genio e trasgressione.


C. = Non è la prima persona a dirmelo. Se non ha altre domande, la saluto, anche perché su di me pende ancora la pena di morte e, qualora dovessi essere trovato, non vorrei mettere in pericolo la sua e tantomeno la mia vita.


In. = Va bene, però, per favore, risponda ancora a questa domanda: qual è l’opera più veritiera e più complessa che ha realizzato?


C. = La mia risposta, forse, la spiazzerà. L’opera a cui penso è la canestra di frutta. Il soggetto è una cesta in vimini appoggiata su un piano in legno con all’interno della banalissima frutta. La composizione è resa veritiera dagli innumerevoli dettagli che la costellano: alcune foglie appaiono accartocciate, altre sfiorite e secche, la mela al centro esatto appare come mangiata da un verme e altri frutti non del tutto freschi, e così via. Apparentemente, quindi, si potrebbe pensare che l’opera non abbia un significato preciso, che sia stata realizzata per esercitazione, ma non è così. Essa, infatti, vuole ricordarci il monito del memento mori: ricordati che devi morire e non attaccarti alle cose vane di questo mondo, che non sono durevoli, ma soggette allo scorrere del tempo. Proprio questa tela mi fece guadagnare la stima dei cardinali Del Monte e Borromeo, i quali mi accolsero sotto la loro protezione. Quelli sì che furono bei tempi, non come ora che sono fuggiasco da molti anni.


In. = Non si smette mai di imparare. La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e spero che la sua vita possa volgere al meglio, in fondo sento che è un uomo buono, solo un po’ tormentato.


C. = È stato un piacere, i miei migliori auguri.


(In. = intervistatore; C. = Caravaggio)


Anna Pregliasco - III classico

Commenti

Post popolari in questo blog

Analisi della poesia "Odi Melisso" di Giacomo Leopardi. di Elena Negro

Il benvenuto della redazione all' a.s. 2023-2024