Saluti da Portsmouth
Sabato 25 Ottobre 2014, ore 5.20 a.m.
Un brivido mi percorre la schiena. L'aria gelida del mattino di
Portsmouth mi ha svegliato. Finora ho spiccicato solo poche parole,
il minimo indispensabile per salutare la dolce signora che ci ha
ospitato per cinque giorni. In bocca ancora percepisco il gusto del
suo delizioso tè. Sento dietro di me la porta richiudersi,
accompagnata da un gesto di Matteo, il mio compagno di stanza.
Saliamo sull'autobus con un movimento lento, quasi sconsolato,
dettato dalla stanchezza, sì, ma soprattutto dalla consapevolezza di
non voler partire. Un breve saluto interrompe il dormiveglia di tutti
i presenti. Il viaggio è lungo, incredibilmente silenzioso. I più
dormono. Chi non riesce a chiudere gli occhi ciondola la testa,
scrutando con lo sguardo l'orizzonte, l'unico punto in cui la coltre
di nubi lascia intravedere una neonata alba, estremamente tenue,
quasi come se anche lei si stesse svegliando. Mi assopisco. Il mio
leggerissimo sonno è costellato di immagini. La mente richiama i
ricordi di questa incredibile esperienza che sta per concludersi.
Vedo le scintillanti luci del Pier di Brighton, l'inconfondibile
skyline di Londra, le linee gotiche della cattedrale di Winchester.
Sento la voce della signora Muir che mi chiama per avvisarmi che la
cena è pronta. Nelle mani provo come la sensazione di toccare il
morbido pelo di Amish, il cagnolino che mi accoglieva sempre
scondinzolando, di ritorno dalle gite fuori città. Improvvisamente
mi accorgo che siamo già nei pressi dell'areoporto. L'ora di partire
si avvicina. Recupero la mia valigia, tra tutte quelle che lo staff
sta scaricando da un furgoncino bianco, che alla partenza non avevo
nemmeno notato, complice la poca luce e la molta difficoltà nel
tenere gli occhi spalancati. Ecco il momento peggiore di ogni
viaggio. I saluti. Addii o arrivederci? Chi può saperlo? Noi no di
certo. Ci limitiamo ad un lungo abbraccio che comunica, a coloro che
sono stati i nostri angeli custodi per questi sei giorni, molto più
di quanto potremmo esprimere a parole, nel nostro inglese stentato.
Ore 1.30 p.m.
Siamo appena atterrati. Il volo è stato piacevole. Finalmente
riusciamo a carpire frammenti della nostra lingua madre. L'aria
profuma di Italia. L'aria profuma di casa. Una controllata al
telefono prima di intercettare il bagaglio: una notifica annuncia un
nuovo messaggio. Miss Muir ci ha già contattato... Poche righe, per
sincerarsi delle nostre condizioni, sapere del nostro viaggio,
augurarci buona fortuna per la nostra vita. Una sorpresa inaspettata
e immensamente piacevole: solo ora capisco a pieno cosa ha
significato questa settimana per me. Il viaggio è incontrare nuovi
luoghi, nuove culture, nuovi amici. Ma la felicità è sapere che
ogni volta che si tornerà in quel luogo, presso quella cultura, a
casa di quegli amici, quella sarà anche un po' la nostra casa.
Al termine di
questo stage, dopo una meravigliosa esperienza in terra britannica,
mi sento estremamente felice e credo di poter suggerire, a tutti
coloro che ne hanno la possibilità, di non lasciarsi scappare
l'opportunità di viaggiare, in qualunque parte del mondo. E, come
dice la signora Muir: “Enjoy your life!”
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