Alfieri, idolo dei quindicenni (se lo conoscessero davvero)



Caricatura di Vittorio Alfieri (fonte: paginaq.it)
Vittorio Alfieri, conte di Cortemilia, è uno dei personaggi più singolari del panorama letterario italiano ed europeo del Settecento. Nato ad Asti ed appartenente alla nobiltà, già durante gli anni della giovinezza e nel corso del Grand Tour (che potremmo definire un Erasmus settecentesco) dimostra di avere una singolare irrequietezza: nella sua autobiografia (la Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso) emergono molti aspetti che ci aiutano a comprendere meglio il suo carattere particolare, quasi da eterno adolescente ribelle.

Le reazioni che possono scaturire in noi mentre ci accingiamo allo studio di Alfieri possono essere soltanto due: amore sconfinato o disprezzo totale. Lo scrittore Enzo Siciliano è tra coloro che, in giovane età, si sono innamorati dell’autore di Tacito orror di solitaria selva: quali sono, dunque, gli elementi che ci fanno ammirare (od odiare a morte) Alfieri?

La prima cosa che traspare dall’autobiografia è che egli si descrive in modo drammatico, teatrale, attraverso anche passi egocentrici. Alfieri parla anche della sua infanzia: ci dice di essere stato un bambino sensibile, vivace, a volte solitario, ma soprattutto insofferente alle regole. Gli anni dell’adolescenza, passati all’Accademia Reale di Torino, vengono definiti da Vittorio otto anni di ineducazione: nelle mura della scuola, il giovane Alfieri si sente ingabbiato. Studiare, in questo periodo della sua vita, è l’ultima cosa a cui pensa: preferisce viaggiare per l’Europa. Ritornerà a Torino a ventiquattro anni per dedicarsi allo studio letterario, recuperando quelli che definì anni di viaggi e dissolutezze.

Alfieri concepisce la letteratura come superiore alle arti e alla tecnica, definendo lo scrittore una mente superiore. Egli stesso afferma di rientrare in questa definizione: il letterato, investito tale dalle Muse, ha la funzione di essere sacerdote dell’umanità, nonché, in termini più pratici, l’unico capace di governare lo Stato, in collegio con altre menti eccelse. Alfieri odia tutto del Settecento, il vil mio secolo, a partire dai governi assolutisti, che egli rifiuta anche se illuminati. 

Non è vero, dice il conte di Cortemilia, che il mondo è tutto ragione e razionalità: anche i sentimenti hanno un’importante voce in capitolo. In un periodo storico dominato dalla luce della ragione come il Settecento, non dovrebbero avere spazio le emozioni: invece, come cita lo stesso Enzo Siciliano, Alfieri dedica ampie pagine della sua Vita a tale aspetto della sua interiorità, tanto da poter essere considerato un romantico in anticipo sui tempi. Ma questo non è il solo elemento tipicamente ottocentesco riscontrabile in Alfieri: nelle sue opere, infatti, emergono un sentimento di ribellione ed una concezione della libertà come piena realizzazione di sé tipicamente romantici. Questa voglia di ribellarsi è forse il vero elemento che avvicina Vittorio Alfieri agli adolescenti e ai ventenni di ogni epoca: quel volli, e volli sempre, e fortissimamente volli, espressione di determinazione totale ed assoluta. Determinazione e ribellione si riflettono nel concetto di titanismo, che porta l’eroe a commettere atti estremi, come il suicidio, tentato dallo stesso Alfieri in seguito alla separazione del suo primo vero amore.

Noi giovani, irrequieti e ribelli, calati in un’epoca che spesso non sentiamo nostra, se solo conoscessimo a fondo Alfieri lo tratteremmo come un idolo, forse appendendo un suo poster in camera. La nostra irrequietezza, malinconia e indecisione si riflettono nelle pagine della sua Vita: la sua sdegnosa solitudine potrebbe farci sentire meno incompresi.

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