Anestesia Occidentale

Si tende sempre ad analizzare gli effetti della schiavitù discapito della riflessione sulle ragioni che la causano. Cosa fa sentire un uomo superiore ad un altro tanto da fargli arrogare il diritto di sfruttarlo e privarlo della dignità personale?              
Cosa rimuove nel padrone la razionalità di vedere somiglianze tra le proprie mani lisce e quelle sporche e sanguinanti di chi è venduto e trattato come un oggetto? Forse è la perdita di ogni capacità di immedesimazione, il trionfo della convenienza sulla coscienza, il rifiuto di analizzare assennatamente le istituzioni di una società che nella sua staticità storica ha dei risvolti che tornano utili alla classe che dovrebbe preoccuparsi di avvicinarla al progresso e al bene di ogni individuo. Il pericolo consiste nel dimenticarsi della natura umana di ogni schiavo:  per millenni il servo non è stato altro che uno strumento, un semplice attrezzo al quale non si doveva altra manutenzione che un pezzo di pane e una cipolla giornalmente. 
La definizione data da Varrone, un intellettuale latino, del servo come intrumentum vocale (letteralmente strumento che parla), ossia di organismo che ha perso ogni legame, ogni dignità e ogni valore che caratterizza la comunità umana, facilita al dominus il suo compito, che, ironia della sorte, è la vera parte inumana, o meglio antiumana del sistema schiavistico: c’è una totale rimozione del senso di colpa portata da un’accettazione complessiva della condizione schiavile, in alcune epoche anche da parte dei servi stessi, rassegnati al proprio destino.                                   
Ma non bisogna più guardare alla schiavitù come fenomeno antico: il mondo si evolve e con lui cambiano veste anche i suoi vizi inalienabili. 
Chi rinuncerebbe a comprare un paio di pantaloni o una maglietta per pochi euro pur conoscendo le condizioni di chi l'ha prodotta? Chi crede veramente della reversibilità di questo circolo vizioso socio-economico?
 Le guerre, le lotte sociali, Mandela, Lincoln, hanno forse portato ad un successo localizzato, ad un mondo in cui le famiglie non hanno più gli schiavi chiusi in cantina o nella stalla, hanno forse dato una spinta all’orgoglio individuale per aspirare ad una condizione sempre migliore, ma hanno portato ad una sostanziale abolizione della servitù? Il mondo di oggi si può davvero definire "non schiavistico" a cuor leggero?
L’uomo moderno non  ha fatto altro che allontanare lo schiavo dalla sua vita quotidiana. Se prima il lavoro era nei campi o nelle faccende domestiche ed il sottoposto era a stretto contatto con il proprio padrone ora è a seimila chilometri, chiuso a lavorare in un edificio fatiscente, e qual è la sostanziale diffrenza?  Nessuna.
Viviamo in una sorta di universo in cui esiste solo la nostra propria condizione presente, siamo riempiti di informazioni a tal punto da perdere la gerarchia della loro importanza, viviamo anestetizzati convincendoci che l’Europa sia tutto ciò che esiste. E i problemi del Bangladesh sono fiabe lontane.

Non si salva il mondo con una maglietta della Benetton addosso, né dalla schiavitù, né dall’ipocrisia.

 Greta Kovacic, I class.

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