Lasciamo la parola a chi sa




A due mesi dal fatidico 21 febbraio, quando a Codogno è stato diagnosticato il primo caso Covid, abbiamo vissuto panico e sconforto, solidarietà ed egoismo, ascoltato informazioni, voci e notizie non sempre giuste e aggiornate.

È giunto il momento, ora di lasciar parlare chi, sul nostro territorio, affronta l’emergenza ogni giorno, in prima linea vicino a noi.

Abbiamo raggiunto telefonicamente la Dott.ssa Sara Grignolo, infettivologa presso il reparto Malattie Infettive dell’Ospedale San Paolo di Savona, dopo circa quattro anni di attività nello Spezzino.

Sara, in televisione sentiamo spesso notizie allarmanti. Tu lavori a Savona: com’è la realtà in Ospedale? Quando è stato diagnosticato il primo caso? E come ha reagito il reparto?  
“A Savona il primo paziente Covid è stato ricoverato il 2 Marzo; me lo ricordo benissimo perché avevo appena smontato dalla notte e mi è arrivata la notizia. Il paziente è stato ricoverato nel nostro reparto in una delle stanze che teniamo sempre libere per le urgenze. Ovviamente, poi, con l'aumento dei contagi, è stato dedicato ai malati Covid tutto il reparto, con trasferimenti di pazienti anche in altri.
L'ospedale S. Paolo è stato riorganizzato: sono state chiuse zone come la chirurgia per dare spazio alla necessità del virus. Un’intera ala della struttura è stata adibita ad ospitare i malati Covid e progressivamente dall'ottavo sono stati occupati tutti i piani sino al quinto.
Era una cosa che ci aspettavamo, ma ho comunque avuto la sensazione di tornare alla “medicina da campo” per i grandi numeri che non permettono finezze nei confronti dei malati che all’inizio arrivavano in condizioni terribili, spesso in pigiama, senza portafoglio né beni personali."

Com'è oggi la situazione da voi?
"Sicuramente più tranquilla. Il numero di ricoverati resta più o meno lo stesso, ma non abbiamo più la pressione di un mese fa quando dovevamo fare posto per i malati che aumentavano ogni giorno. Le persone rimangono ricoverate a lungo, poiché molte volte a casa non si saprebbe come gestire una persona ancora positiva o in via di guarigione  che potrebbe ancora contagiare i famigliari. Sono state anche create strutture per permettere di terminare la convalescenza prima della totale guarigione. All'inizio tra i ricoverati c'erano più giovani e adulti, oggi invece ci sono molti anziani provenienti dalle case di riposo e che, finché non sono negativizzati al virus,  non possono essere dimessi perché nelle strutture contagerebbero altri, ospiti ed operatori.”

Com'è cambiato, se è cambiato, il rapporto con i pazienti e con i loro parenti?
"In questo momento uno degli aspetti fondamentali è la tutela degli operatori sanitari. Nonostante le protezioni, stare a contatto col paziente comporta un minimo rischio, per cui nelle stanze si sta il meno possibile. E' ovvio che questo va ad inficiare il rapporto medico-paziente, anche perché noi in questo momento non comunichiamo come abbiamo sempre fatto, bensì solo con gli occhi; con le protezioni, sembriamo astronauti. Prima, invece avevamo un più stretto rapporto coi pazienti. Viene anche a mancare il dialogo diretto con i parenti dei malati: in questo periodo vengono aggiornati quotidianamente sulla salute dei famigliari per telefono, ma dietro una cornetta è difficile… è un rapporto freddo…  anche perché molte volte siamo colleghi diversi a chiamare parenti diversi. E' venuto anche a cambiare il rapporto paziente-parente, perché non c'è la possibilità di vedersi direttamente. A chi sta meglio facciamo fare le videochiamate, ma a volte gli anziani non hanno il telefono o non lo sanno usare. E' uno degli aspetti più drammatici. E’ una solitudine globale quella che stiamo vivendo stando nelle nostre case, ma che per i malati è accentuata, perché alcune stanze sono singole e il paziente non vede nessuno al di fuori di noi sanitari che, però, come ti dicevo, entriamo nelle stanze solo per lo stretto indispensabile.” 

Invece tra voi colleghi?
“Tra colleghi in realtà non è cambiato molto. In reparto portiamo costantemente le mascherine FFP2 che togliamo solo per mangiare e bere. E' comunque più probabile contrarre il virus tra gli operatori sanitari piuttosto che dai pazienti; io infatti ho deciso di non mangiare coi miei colleghi anche perché saremmo tutti senza mascherina; lo si fa per tutelare sé e gli altri anche perché i turni sono raddoppiati, la stanchezza anche, ma in un momento come questo si accetta tutto!"

Hai qualche episodio o momento che ti ha particolarmente colpita?
"Sicuramente molti momenti mi hanno colpita e non li dimenticherò mai, ma voglio dirtene due, uno brutto e uno bello.
Il primo sono le lacrime di un signore, uno dei primi contagiati, intubato per essere trasferito al San Martino. Non ha nemmeno avuto la possibilità di dare un ultimo saluto a nessuno dei suoi cari e, in questa situazione, gli è venuto da piangere.
Quello bello, invece, è la generosità che, in questa circostanza, è venuta fuori dalle persone: i cartelloni di ringraziamento, i doni come cioccolato, focaccia per nutrire anche il cuore e la mente di tutti, prodotti per l'igiene personale, vere e proprie grandi donazioni economiche. Anche il supporto di parenti ed amici con messaggi o chiamate per far sentire la presenza e per ringraziare del lavoro svolto e in corso, è molto importante dal punto di vista emotivo."

Senza attribuire colpe a nessuno, pensi manchi o sia mancato qualcosa? Avessi la bacchetta magica, cosa cambieresti?
"All'inizio mancavano le mascherine chirurgiche da far indossare ai malati per ridurre la contagiosità, non ce n'era più una, tanto che venivano prodotte di stoffa dalle infermiere o da amici di famiglia. Per i sanitari mancavano le FFP2 e FFP3 che da scheda tecnica hanno una vita di circa 9 ore, ma noi le teniamo anche per 1 settimana, a volte 2.
Vedendo la situazione in Cina, si poteva partire prima per avere più dispositivi di protezione individuale. Ad un certo punto sono anche mancati i caschi trasparenti per la ventilazione non invasiva, tanto che il mio timore è stato quello di dover scegliere a chi metterli; per fortuna in Liguria a questo non siamo arrivati grazie alle restrizioni che hanno migliorato la situazione nonostante sia stato difficile per tutti rinunciare alle proprie abitudini."

Sara, tu sei una giovane mamma. Per quanto riguarda la tua vita famigliare, sei riuscita a mantenere le tue abitudini pressoché invariate oppure è stato necessario qualche importante cambiamento?
"Ho scelto di mantenere la normalità soprattutto per mio figlio di 1 anno e mezzo, a differenza di  qualche mio collega che, invece, ha deciso di lasciare i figli coi nonni, senza vedere più nessuno. Personalmente non me la sono sentita di fare questa scelta, perché non si sapeva, e tuttora non si sa ancora, per quanto tempo non avrei potuto vedere né mio figlio, né i miei genitori e poi perché credo che il mio rischio non sia così elevato: adesso è ovviamente amplificato, ma io sono sempre a contatto con virus e batteri. Non è stata una scelta facile, perché quando sento di colleghi che non vedono più i figli, mi sento in colpa se dovessi contagiare qualcuno a casa. Allo stesso tempo, però, forse il cuore di mamma mi ha fatto fare questa scelta. Ho deciso, invece, per un certo periodo di non vedere, i miei genitori o di incontrarli con la mascherina in spazi aperti. La mia vita privata, invece, è totalmente cambiata per non correre il rischio di portare a casa il virus; quando torno dall'ospedale disinfetto il cellulare e la borraccia con l'alcol al 70%, tolgo le scarpe, faccio la doccia e mi cambio totalmente, proprio per cercare di lasciare l'eventuale virus fuori dalla porta"

Per la Liguria il termine dei contagi è previsto per il 14 Maggio, credi possa essere veritiero? Come immagini la situazione nel periodo estivo e verso settembre od ottobre, quando, in teoria, ci sarebbe la tanto attesa riapertura delle scuole?
"Prevedere con certezza la fine dei contagi non è possibile; queste sono idee di massima, perché il virus è in via di studio, è nuovo e non lo conosciamo. La speranza è che con il periodo estivo e quindi con l'innalzamento delle temperature, scenda la diffusione del virus, restando attivo qualche focolaio; con l’autunno è possibile un nuovo incremento legato alle temperature che si abbassano. Logiche sono le misure di prevenzione e il distanziamento sociale, che con l’estate saranno più facili da mantenere perché si starà di più negli ambienti aperti. Per quanto riguarda la riapertura delle scuole, non è il mio lavoro e non spetta a me decidere, ma la mia preoccupazione sta nel fatto che rimangano chiuse: la salute non è solo salute fisica, ma anche sociale e psicologica; l’uomo è un animale sociale e soprattutto per i bambini e gli adolescenti stare insieme è davvero importante e la scuola non può essere solo fatta di videolezioni.”

Sara, per concludere, hai qualche consiglio per noi ragazzi su come affrontare la riapertura?
“Il consiglio che posso darvi è quello di continuare a mantenere la mascherina chirurgica a tutela degli altri prima che di noi stessi.  Bisogna continuare a rispettare le distanze di sicurezza e quindi non abbracciarci tutti appena ci rivediamo. E’ meglio trovarsi in luoghi aperti come parchi, piazze, perché è più difficile il contagio ed evitare bar, pub, se possibile. Un’altra cosa davvero importante è tenere a mente l’igiene delle mani che non devono andare a contatto con occhi, naso e bocca e devono essere lavate appena rientrati in casa; se si ha la possibilità, portarsi un gel idroalcolico da utilizzare se si pensa di essere venuti a contatto con qualcosa di contaminato o semplicemente non toccarsi con le mani occhi, naso e bocca e lavarle bene appena rientrati.”


Sara, Ti ringrazio per l’intervista e per il tempo che mi hai dedicato, ma anche e soprattutto un grande grazie a te e ai tuoi colleghi per il lavoro che fate e per la dedizione e il coraggio con cui continuate a farlo! A presto!

Intervista di giovedì 23 aprile 2020

Chiara Viglierchio – 4A

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