Il mio viaggio ai tempi della pandemia

Immagini Stock - Salotto Di Partenza Aeroporto Vuoto Con Aereo Su ...

Cammino per l’aeroporto. Tutto ciò che sento è quel rumore fastidioso e ripetitivo prodotto dalle rotelle della mia valigia. Cerco intorno a me un negozio di alimentari per comprarmi uno snack da mangiare mentre aspetto il prossimo volo.
Sono stanca e appena atterrata, finalmente, nell’aeroporto La Guardia di New York, dopo una settimana di stress, con le valigie sempre pronte ma i voli cancellati di continuo.
Non c’è nessuno. Tutti i negozi di abbigliamento e di gioielleria sono chiusi, bui e silenziosi. Sento qualcuno camminare dietro di me e ho la sensazione che mi stia seguendo e osservando e quindi accelero il passo.
Penso a quando, otto mesi fa, mi trovavo proprio qui cercando di farmi spazio tra la folla per raggiungere il gate per il volo che mi avrebbe portato in New Mexico, dove avrei passato il mio anno all’estero. Era così rumoroso e quasi soffocante, mentre ora è così ampio, silenzioso e vuoto che mi sento smarrita. Tutto sembra surreale.
Mi fermo perché trovo uno dei pochi negozi aperti ed entro. Sono l’unica cliente. Cerco qualcosa da mangiare che mi piaccia, mentre con la coda dell’occhio noto la commessa, con la mascherina, che si avvicina. Molto gentile, inizia a mostrarmi tutte le offerte e quando ha finito, la ringrazio, ma lei resta lì a fissarmi mentre compio la mia scelta.
Non so perché, ma mi sento come se fossi al centro dell’attenzione di tutti e avverto il bisogno di riacquisire quella trasparenza che ci rende un po' tutti uguali in mezzo alla folla, dove per assurdo tutti vedono ma nessuno guarda.
Ripenso alla commessa e la capisco. Dopotutto, è molto probabile che fino a qualche settimana fa fosse abituata ad avere il negozio sempre affollato e a non avere il tempo per assistere i clienti se non alla cassa; mentre ora, sono sicura che non entri più di un cliente alla volta.
Giungo al mio gate, finalmente, vedo che c’è gente. Mi sento quasi sollevata alla vista delle persone, alcune al telefono, altre al computer e altre che fissano il vuoto annoiate. Tutte indossano la mascherina e sono sedute distanti l’una dall’altra. Mentre cerco un posto in cui sedermi, avverto gli sguardi ansiosi delle persone che controllano che io mi sieda rispettando la distanza di sicurezza. E’ come se tutto quello che faccia venga giudicato da questi occhi sconosciuti. Cerco di atteggiarmi disinvolta mentre disinfetto le mani, la confezione che contiene il mio pranzo, e di nuovo le mani, ma sono sicura che tutti si siano accorti del mio disagio e imbarazzo.
Mi tolgo la mascherina per mangiare. Erano ore che la indossavo e finalmente sento l’aria fresca entrarmi su per le narici e rinfrescarmi i pori della pelle. Penso ai dottori e agli infermieri che si devono coprire con la mascherina tutti i giorni per buona parte della giornata e non oso immaginare quale sofferenza.
Un’ora dopo sento che stanno iniziando l’imbarco. Mi agito al pensiero dell’aereo affollato e alle nove ore di viaggio senza togliere la mascherina. Me la rimetto e sento già l’aria soffocante e calda che rimane bloccata tra la mia pelle e la parete di tessuto. Ma cerco di sopportare perché sarà questione ancora di qualche ora e mi metto in coda per il controllo del biglietto, mantenendo attentamente la distanza di un metro dalla persona in fila di fronte a me e dietro di me.
E’ quasi il mio turno quando sento qualcuno chiamarmi per nome. Mi volto confusa, cercando di capire da dove provenga quella voce e, dopo un attimo, noto un volto amico. Sorrido sotto la mascherina …non posso crederci! Cate, una ragazza italiana che conosco da anni e che lavora a New York, si sta imbarcando sul mio stesso aereo. Penso a quanto il mondo sia straordinariamente piccolo, ma poi mi accorgo che questo volo è l’unico che oggi parte dagli Stati Uniti per atterrare in Italia. Mi sento comunque sorpresa e contenta che ci sia qualcuno che conosco sul mio stesso volo.
Sull’aereo sono seduta alla sinistra di un ragazzo e dall’altro lato c’è il corridoio. Mi sento così allo stretto e disinfetto il tavolino, i braccioli e le mani. Non mi infastidirebbe il poco spazio in altre occasioni, ma ora mi sento come intrappolata. Provo a dormire così da non soffrire il jet lag, ma non ci riesco. Rifiuto la cena servita dalla hostess per non dovermi togliere la mascherina tra tutte queste persone, rischiando di essere infettata. Mancano solo due ore, ma non ce la faccio più, sono così stanca, la mascherina mi dà prurito e vorrei strapparmela dalla faccia.
Scendo finalmente dall’aereo e cammino velocemente, così da trovare uno spazio appartato per togliermi la mascherina un istante. Sollevata, avverto di nuovo quella freschezza.
Rimetto la mascherina e mi dirigo verso i controlli sanitari, dove devo aspettare per un’ora e mezza prima che mi misurino la febbre e mi facciano compilare la terza autocertificazione del viaggio. Ho un po’ di ansia perché, anche se so di non avere la febbre, ho paura che non mi lascino andare a casa. Per fortuna, però, mi lasciano passare tranquillamente e mi dirigo verso il gate dove prenderò l’ultimo volo per tornare a casa. Mentre cammino vedo che anche questo aeroporto è quasi vuoto, ma l’atmosfera diventa più allegra quando noto un gruppo di uomini con la divisa della sicurezza giocare a calcio balilla, ridere e scherzare con il loro accento romano. Mi viene da ridere sotto la mascherina, solo noi italiani riusciamo a rendere normale l’anormalità!
Cammino in silenzio, con l’unico suono che mi accompagna quello delle rotelle della mia valigia. Questa volta, però, è diverso. Non provo ansia, disagio o paura, ma ho un sorriso di sollievo sotto la mia mascherina. Finalmente sono arrivata in Italia (e presto riabbraccerò la mia famiglia).

Matilde Bellandi - 4A

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