La musica, una forza della natura
Rovistando in soffitta ho trovato dei CD che ascoltavo da bambina. Non sono dello zecchino d’oro, ma di Bocelli, di Mina, di Gino Paoli, di alcune edizioni di Sanremo e di tanti altri artisti. Li ho riascoltati tutti dal primo all’ultimo immedesimandomi nei testi sicuramente con una consapevolezza maggiore rispetto a qualche anno fa. Alcuni mi hanno fatto ballare e altri strappare qualche lacrima, alcuni ridere e altri cantare a squarciagola. Mi ha fatto stare bene tutto questo. Nei giorni successivi, però, non sono riuscita a non pensare a quanto era accaduto. Nella mia mente continuavano a crearsi domande su domande, così ho maturato una piccola riflessione.
Moltissime persone decidono di intraprendere una carriera musicale e, sin dal principio, insegnanti privati o professori di conservatorio le instradano a concepire la musica su base razionale, in sostanza, come una seconda matematica. In realtà è molto più di questo.
La musica è medicina. Può curare le ferite dell’anima, persino quelle più profonde. Anche quando non avremo nessuno ad ascoltarci o a supportarci, lei sarà sempre lì. Lei è ovunque, è in una goccia d’acqua che cade al suolo, è nel rumore dei libri che vengono sfogliati, è nel battito del nostro cuore. Ogni posto è musica, bisogna solo crearla.
La musica è rifugio e sfogo. A volte la si ascolta per ore ed ore, anche quando le nostre orecchie ci stanno implorando di smettere, altre ci si focalizza su una canzone in particolare per dei mesi. Proprio in questo senso la musica è rifugio, ovvero, è l’esatto riflesso di ciò che abbiamo provato o stiamo provando in un preciso periodo, possa essere felicità, rabbia o qualsiasi altra emozione. Per alcuni, però, questa sorta di comprensione o immedesimazione non basta, ci vuole di più. Ecco che avviene un ulteriore passaggio: da rifugio si passa a sfogo. Lo sfogo riesce a dare voce a quei sentimenti, belli o meno, che non riuscirebbero a trovare spiegazione con le parole.
La musica è ricordo. Mia nonna mi cantava sempre un pezzo di Nilla Pizzi, “Papaveri e papere”. Ogni volta che la riascolto, penso al tempo passato insieme ed è come se lei non se ne fosse mai andata, come ci eravamo promesse. Se si pensa a fondo, questo è un potere grandissimo. Permette, infatti, di creare una sorta di album fotografico, in cui, al posto delle foto, si hanno canzoni in grado di catapultarci in un momento preciso della nostra vita.
La musica è amore. Sì, è proprio così. Noi la sfruttiamo, la abusiamo, ma noi siamo anche i soli che la possano amare. Amarla non significa praticarla tutti i giorni, come una delle nostre tante abitudini, ma riempirla di attenzioni, di studio e di sentimenti veri. Non la si può accantonare, perché fare musica è un bisogno, un qualcosa che ti arde dentro e che se non viene liberato rischia di comprimersi fino a soffocarsi.
La musica è universale. L’unica cosa che accomuna tutti gli uomini e tutti gli esseri è un linguaggio universale che è la musica. Ovviamente se dei ragazzi italiani ascoltassero una canzone in russo, non credo che capirebbero molto del testo, ma sicuramente riuscirebbero a comprenderne il contesto, ovvero se esprime qualcosa di gioioso o triste. Per questo motivo, la musica viene spesso intesa come una fitta rete di emozioni che, urtando il nostro corpo, giunge nella nostra anima dove si sprigiona in tutti i suoi colori e sfumature.
Ma proprio ora, riportando le mie considerazioni, mi accorgo che, in realtà, non si può definire precisamente che cosa sia la musica, il suo concetto rimane ancora impreciso e la sua vera natura indefinita. Se è una cosa che ci fa stare bene, che ci migliora la giornata, che ci fa sentire a tre metri da terra, che accompagna i nostri viaggi infiniti, che fa superare ogni paura, che smuove persino i bambini ancora nella pancia delle loro mamme pur essendo così piccoli, non credo che servano definizioni. È una forza della natura, creata per essere una fedele compagna e farci sentire meno soli in questo immenso caos che è il mondo.
Anna Pregliasco-II classico
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