Realtà virtuale - lockdown edition

 Da quando l’Italia è stata suddivisa in diverse zone a seconda del pericolo di contagio, le opportunità di uscire sono state piuttosto ridotte, conducendo chi si trova in un Comune diverso da quello dei propri amici ad evitare l’interazione sociale con i coetanei. E’ ciò che sta accadendo questo Novembre in Liguria e che probabilmente riguarda anche molti studenti del liceo, me compresa. 

A questo punto, con la sola possibilità di comunicare coi miei amici attraverso messaggi o telefonate, e potendo conoscere nuove persone solo tramite i social media, mi si è posta di fronte una riflessione: la vita che molti di noi stiamo vivendo è sulla buona strada per condurci, tra decenni, alla realtà descritta in un episodio di Black Mirror, la serie tv distopica incentrata su uno sviluppo prodigioso della tecnologia che apporta però numerosi cambiamenti drastici e spesso pericolosi allo stile di vita dell’intera specie umana. In 15 Million Merits - in italiano 15 milioni di celebrità - viene trattata la virtualizzazione della vita reale. Un’intera comunità composta da centinaia di individui vive in uno stabilimento le cui pareti sono giganteschi schermi. L’unica funzione del loro corpo fisico è andare su una cyclette, produrre energia per guadagnare soldi virtuali e comprare oggetti per il proprio avatar. Mentre nella nostra realtà è l'avatar ad essere lo specchio dell'individuo fisico, qui il meccanismo viene invertito, rendendo l'essere umano specchio del proprio avatar, che si muove sulle pareti digitali dell'edificio al posto delle persone vere, che non interagiscono tra loro. Pertanto, gli uomini divengono il proprio avatar virtuale.

Ho fatto questa lunga premessa per rendere un’idea di come questa società si stia trasformando, sebbene sia per una causa ineccepibile; tuttavia, tale mutazione era già in atto. Perché?

In seguito all'ingresso di internet e dei social media nelle nostre vite, tutti abbiamo potuto creare il nostro profilo, ricco di tutto ciò che desideriamo gli altri notino di noi. 

Voglio che pensino che viaggi parecchio anche se ho visitato solo la Francia cinque anni fa? Cercherò foto di altri Paesi online che sembrino piuttosto autentiche e le spaccerò per mie. Posso far credere di aver viaggiato in Cornovaglia o a Dubai, se lo desidero.

La possibilità di progettare da zero la propria identità virtuale ed avere un controllo diretto sulla reputazione che si vuole guadagnare agli occhi di tutto il mondo, però, sta creando in noi la paura di “passare all’azione”.

In fondo, è più semplice insultare qualcuno su internet senza vedere il dolore solcare il suo viso piuttosto che farlo nella realtà con tutti i rischi associati, esponendo ad un grande rischio la propria reputazione.

E’ meglio bloccare chi non è d’accordo con la nostra opinione piuttosto che affrontarlo in un discorso maturo per comprenderne i punti di vista.

E’ più rassicurante scattarsi una foto provocante piuttosto che spogliarsi di fronte a qualcuno, e si intende gettare a terra le insicurezze, le paure, i sogni, le speranze, il proprio passato, i difetti. Non ci si spoglia sempre solo dei vestiti.

Tuttavia, quest’ultima azione non dobbiamo più compierla nemmeno metaforicamente, perché quale bisogno c’è di esternare ciò che abbiamo dentro - il che potrebbe essere compromettente per il rapporto - quando possiamo creare un profilo in cui mostriamo solo i nostri lati migliori? 

Instagram, Facebook, Tiktok...sono come vetrine di trofei, sigillati ed esposti a tutti. Magari vi è una targhetta che spiega come siano stati vinti, ma non possiamo toccarli, rivedere l’istante in cui l'atleta ha vinto la gara, le fatiche nel raggiungerlo, lo sgambetto all’avversario, i pianti notturni per essere non aver raggiunto nemmeno il podio nelle gare precedenti. Non vedremo mai la sua depressione, i litigi coi genitori, gli amici perduti.

In molti siamo diventati vetrine, da quando abbiamo la chance di scrivere la pubblicità di noi stessi. 

Direi che siamo la quarta di copertina di un libro, ma quello non si può cogliere nella sua interezza in un istante con pochi click, e non può essere preso in mano da qualcuno che disprezza i libri. Non è una pagina Google che può essere aperta letteralmente da chiunque: lo scegli, lo apri, ne vieni attratto. 

Se proprio vogliamo fare un paragone letterario, il nostro volto e il nostro fisico sono la nostra copertina, mentre le prime conversazioni sono la quarta di copertina, ovvero un riassunto che spesso mette in luce ciò che vogliamo mostrare di noi al mondo.

Tuttavia, conoscere qualcuno è leggere quel libro, e con "conoscenza" non intendo le chat, o almeno non solo. Conosci davvero qualcuno quando ti confessa qualcosa con le lacrime agli occhi, timoroso di essere rifiutato o felice di potertelo confidare. 

Quando sorride perché ha appena ricevuto da te un regalo che gli hai fatto con il cuore, o ti racconta quanto sia soddisfatto della propria giornata, dei suoi successi, di sé stesso.


Farsi pubblicità è ciò che almeno 9 esseri umani su 10 hanno sempre sognato. Tuttavia, è importante desiderare di più. E’ cruciale desiderare di essere di più. 

Non avere timore di toccare con mano la tua vita, ogni qualvolta tu ne abbia la possibilità. Non avere paura di correre sotto la pioggia per prendere un autobus all’ultimo minuto e correre da quella persona speciale anziché scriverle un messaggio, per quanto dolce possa essere. Non temere di andare al cinema per vedere il film che attendi da mesi in compagnia dei tuoi amici anziché guardarlo sul cellulare. 

Non esitare a prendere un aereo e assaggiare quel caffè di Starbucks anziché retwittarne una foto, se puoi.

Prova quel ristorante da te, anziché leggere le recensioni e basarti su di esse.

Stiamo vivendo in un mondo in cui viene data la priorità al subire piuttosto che all’agire, a guardare tutto da una finestra piuttosto che uscire a studiarlo da vicino.

Viviamo per condividere una storia su Instagram di ciò che ci sta piacendo fare, di posti dove nemmeno vorremmo essere ma in cui andiamo solo per potercene vantare.

Le esperienze vengono fatte per via attiva piuttosto che per via passiva, e non si fanno più per sé stessi, ma per gli altri.

Viviamo con il terrore di mostrarci per quel che siamo, di compiere scelte sbagliate, di scommettere il corpo e lo spirito e rimanere lesi. Abbiamo paura della paura, che porta sofferenza.

Ci stiamo abituando a prediligere ciò che è pronto subito, senza sforzi, sebbene sia di qualità inferiore, perché aspettare o impegnarsi per creare qualcosa di meraviglioso ci pare una perdita di tempo ed è stancante. Eppure, nel tentativo di non sprecare tempo ne gettiamo via più di quanto non faremmo normalmente. 

Non accontentiamoci di essere prodotti pronti subito, come lasagne al microonde. Rendiamo questa vita la coltivazione di un’aiuola di fiori, che richiede settimane di tempo e cure continue per aver qualcosa da ammirare ogni giorno nei mesi a venire. 

Non rinunciamo a creare con le nostre mani e i nostri cuori, solo per noi e per chi amiamo, ed evitiamo invece di produrre senza sosta.

Intrappoliamo in ciò che creiamo la bellezza che è rimasta a sua volta intrappolata nei nostri occhi come residuo dei momenti migliori della nostra vita.

Non accontentarti di essere una vetrina. In un mondo in cui sembra più semplice essere una vetrina, non avere mai timore di essere un sensazionale, interessante, imperfetto romanzo. Chi è sempre stato destinato a sfogliare le tue pagine troverà la propria via verso di esse.  

Valentina Preve, 4^D 

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