Guida alla visione dello Studio Ghibli
Hayao Miyazaki è un nome un po' difficile da pronunciare. La prima volta che l'ho letto sono dovuta tornare indietro, rincominciare da capo, dall' H, e prendere confidenza con quelle due parole. Con il tempo, però, quel nome tanto enigmatico ha iniziato a concretizzarsi in un volto, poi in una storia ed infine in arte.
Hayao nasce nei pressi di Tokyo nel 1941. Il padre è un ingegnere aeronautico, la madre non lavora a causa di una forma di tubercolosi molto aggressiva. Vive un'infanzia agiata e durante gli anni dell'adolescenza familiarizza con quelle che si riveleranno essere le due grandi passioni della sua vita: la politica e il disegno. Consegue una laurea in Scienze Politiche ed Economia e inizia a lavorare come sindacalista, ma si rende presto conto che non è la strada giusta per lui. E' ancora giovane, ha poco più di vent'anni, ma sente di non poter sprecare un secondo di più. Molla tutto e si getta a capofitto nel mondo dell'animazione, in cui rileva un talento innato sia come disegnatore che come regista. Nel 1985 contribuisce alla creazione del progetto più importante della sua carriera, lo Studio Ghibli, che lo porterà a vincere il primo premio Oscar mai assegnato ad un anime con il film “La città incantata (2001)”
Parlare dell'arte di Hayao senza parlare della sua vita privata sarebbe un evidente spreco di parole. Ogni storia che ci racconta è intrinseca di sé stesso, dei suoi sogni giovanili e delle sue paure più intime. Nel film “Il mio vicino Totoro (1988)”, Miyazaki ci parla della madre malata attraverso lo sguardo di due bambine che sono state separate dalla propria in seguito ad un ricovero ospedaliero. Nel film “Si alza il vento (2013), invece, omaggia il padre portando sul grande schermo la sua passione per gli aerei, la stessa che gli ha trasmesso rendendolo a sua volta un appassionato dell'argomento. Che si tratti di navi volanti o mostri alati, di streghette su scope magiche o maiali piloti, Hayao trova sempre il modo di includere un po' di cielo nei suoi racconti e di farci volare su distese infinite di mondi fantastici. Nei suoi lavori compare spesso un'aspra denuncia contro la violenza umana declinata in ogni sua forma. “Nausicaä della Valle del vento (1984)” parla della prevaricazione del più forte sul più debole in un ritratto di guerra in chiave fantasy, mentre “La principessa Mononoke (1997)” vuole farci riflettere sull'abuso dell'uomo nei confronti di una natura che cerca di ribellarsi, ma che è inevitabilmente destinata a morire per mano della volontà consumatrice di chi la abita.
Nonostante i toni cupi con cui spesso si tingono le sue storie, Miyazaki rientra senza dubbio in quella cerchia ristretta di inguaribili ottimisti. Uno dei denominatori comuni dei suoi film è che il primo cattivo che si incontra all'interno della storia non è mai veramente il nemico finale, ma è sempre un alleato inaspettato, un amico ancora da scoprire. Esempi di questa dinamica si palesano in film quali “Laputa- castello nel cielo (1986)” e “Porco Rosso (1992)”. Ma l'ottimismo di Hayao va oltre, affonda le sue radici nel sentimento più nobile di tutti, l'Amore, e si dirama in ogni immagine che crea in un'arte capace di commuovere anche il più scettico tra gli spettatori.
Tra i film citati ho volontariamente deciso di tralasciarne uno, una sorta di dulcis in fundo per coloro che sono arrivati alla fine di questo articolo senza magari aver ancora capito come si pronuncia il nome Miyazaki. “Il castello errante di Howl (2004)” rappresenta, a mio parere, l'apice dell'estro creativo e della sensibilità emotiva del suo ideatore. La trama riprende il romanzo Diana Wynne Jones e segue le vicende di Sophie Hatter, una ragazza rinchiusa nella monotonia di un negozio di cappelli che solo dopo essere stata maledetta da una strega ed essere stata trasformata in vecchia, capisce il vero valore di un'esistenza degna di essere vissuta: salvare ed essere salvati, amare ed essere amati.
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