Menzogna e sortilegio


Elsa Morante nacque nel 1912 e sin dall’adolescenza fu sempre appassionata alla scrittura: su vari periodici italiani pubblicò, infatti, poesie, racconti e favole per bambini. Poco più che ventenne, conobbe nel 1933 lo scrittore Alberto Moravia e i due, sposatisi nel 1941, dovettero fuggire da Roma poiché entrambi di origine ebraica. La Morante cominciò proprio in questo periodo una prima stesura del suo romanzo d’esordio che durante il periodo di clandestinità affidò a un amico. «Un libro – affermò l’autrice – che avevo vagheggiato di scrivere fin da quando, posso dire, ero bambina». Ella si riferiva a Menzogna e sortilegio, romanzo in cui la protagonista non è altro che un alter ego della Morante stessa. Nel corso del Novecento furono poi pubblicati anche L’isola di Arturo (primo libro scritto da una donna a vincere il Premio Strega), La storia e infine Aracoeli, pubblicato solo tre anni prima della sua morte. 

Certo, per diventare uno scrittore si deve conoscere a fondo la tradizione letteraria maschile, che è secolare e ricchissima di opere straordinarie, ma bisogna anche imparare a ridefinirla, questa tradizione, forzandola a seconda delle proprie necessità affinché sia dato spazio alle voci e alle storie femminili. Elsa Morante agì proprio in questo modo per Menzogna e sortilegio. Ispirandosi dunque ai più illustri scrittori dell’Ottocento – Stendhal, Tolstoj e Proust per citarne alcuni –, finì per scrivere un grandioso romanzo familiare, le cui voci al centro della narrazione sono proprio quelle delle donne. Così, con il suo primo libro, la Morante diede inizio alla sua opera letteraria, una tra le più importanti di tutto il Novecento. 

All’interno del libro si narrano le vicende di tre diverse generazioni femminili: la prima è quella di Cesira, nonna materna della narratrice, la seconda è quella di Anna, la madre, e la terza e ultima è quella di Elisa, l’io narrante. L’autrice dà più importanza alla generazione di Anna, giacché è quella che occupa più parti nel romanzo e quella in cui compaiono i personaggi principali, come il cugino Edoardo, Francesco, Rosaria. Le vicende dei quattro si incrociano e solo alla fine della narrazione le loro storie giungeranno a compimento, ognuno ottenendo una propria redenzione. 

Sin dalle primissime scene, si capisce la scelta della parola menzogna per il titolo, dal momento che i personaggi si mentono l’un l’altro e non smettono mai di farlo, sfruttando la menzogna per affrontare una realtà difficile da accettare altrimenti. La scelta poi della parola sortilegio è evidente nel prologo e nelle ultime pagine, parti della narrazione in cui certi personaggi sono come sotto l’effetto di un incantesimo e raffigurano davanti a sé altri personaggi morti ormai da lungo tempo. Nel caso di Elisa, tuttavia, il sortilegio va inteso piuttosto come una forza benefica che le permette di narrare di eventi e personaggi a lei distanti temporalmente. E soltanto alla fine riuscirà a rinunciare al mondo reale, si abbandonerà alla narrazione, al sogno di un passato glorioso che, inconsistente, può essere rielaborato senza alcuna pretesa di veridicità. 

I temi principali sono anche l’amore, la morte e la gelosia. Interessante notare, poi, come qualsiasi rapporto romantico descritto dalla Morante – non solo nel suo primo romanzo – finisca per generare grande sofferenza, sia perché impossibilitato da cause maggiori, sia perché uno dei due innamorati spesso mente all’altro e non lo ama davvero. Come già ne L’isola di Arturo, si dà molta importanza al rapporto madre-figlio e agli oggetti, che, caricati di affetti e ricordi, finiscono per diventare degli amuleti, delle rappresentazioni di persone che non ci sono più. 

La narrazione è, al solito, densissima, simile a un romanzo ottocentesco perché ricca di descrizioni e introspezioni psicologiche, le quali rendono i personaggi profondi, tridimensionali. La storia è angosciante e febbrile, misteriosa: nessuno dei personaggi può sfuggire alla propria sorte, finendo talvolta per impazzire, e certo non mancano i colpi di scena a incalzare il ritmo narrativo. 

Nelle settecento pagine che compongono questo grandioso romanzo familiare, si evidenzia uno stile che sarà d’ispirazione a innumerevoli scrittrici, tra le quali Donatella Di Pietrantonio ed Elena Ferrante.

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