Due popoli, una guerra, nessuna pace: 

il dramma della Palestina 

di Bianca Genta

Il 23 settembre 2025, nell’Aula Magna del Liceo Calasanzio,  si è tenuta una conferenza sul tema “Palestina, Diritti Umani, Pace”, con la partecipazione dell’associazione israeliana “Ta’ayush” (traduzione di “Vivere Insieme”), organizzazione israeliana attiva nella difesa dei Diritti dei Palestinesi della Cisgiordania. Era presente all’incontro anche un referente di “Operazione Colomba”, movimento pacifista dell'Associazione "comunità Papa Giovanni XXIII".

Un membro dell’associazione è venuto a raccontare in prima persona, attraverso immagini e filmati, l’evoluzione della situazione nei territori occupati. Le sue parole hanno offerto uno sguardo umano e concreto su un conflitto che spesso conosciamo solo attraverso i telegiornali.

Per capire l’attuale crisi bisogna fare un passo indietro: alla fine della Prima guerra mondiale, molti ebrei emigrarono in Palestina sognando un luogo sicuro dove vivere dopo secoli di persecuzioni, culminate con la Shoah. Nel 1947, l’Organizzazione delle Nazioni Unite propose di dividere la Palestina in due Stati: uno ebraico e uno arabo. Gli ebrei accettarono, gli arabi no, giudicando il piano ingiusto.

L’anno seguente, con la nascita di Israele, esplose la Guerra arabo-israeliana del 1948. Israele vinse e occupò gran parte dei territori arabi. Per centinaia di migliaia di palestinesi questo significò espulsione e perdita della propria casa: un evento che chiamano Nakba, cioè “catastrofe”.

La Cisgiordania è ancora oggi divisa secondo gli Accordi di Oslo del 1993: una parte sotto il controllo palestinese, una parte a controllo misto e una parte, circa il 60% , sotto controllo israeliano.

Nel tempo, Israele ha costruito in territorio palestinese centinaia di insediamenti abitati da coloni israeliani. Questi insediamenti sono considerati illegali dalla comunità internazionale, ma continuano ad espandersi, riducendo gli spazi per i palestinesi: molte città palestinesi vivono ogni giorno sotto sorveglianza militare, tra check-point e posti di blocco che spesso rimangono chiusi per ore. Questo significa non poter andare a scuola, al lavoro o semplicemente muoversi liberamente.

Dal 7 ottobre 2023, la violenza è aumentata ancora: dopo l’attacco di Hamas, in cui furono uccisi e presi in ostaggio circa 1500 israeliani, Israele ha lanciato un attacco contro la Striscia di Gaza, controllata da Hamas. I bombardamenti hanno provocato una gravissima crisi umanitaria. Anche in Cisgiordania la situazione è peggiorata: arresti e violenze si sono moltiplicati, alimentando la paura che il conflitto si estenda anche lì.

Il testimone ha mostrato video scioccanti: coloni armati che infastidiscono pastori palestinesi, distruggono cisterne d’acqua e intimidiscono le persone, spesso senza subire conseguenze. I palestinesi, ha spiegato, non reagiscono perché rischierebbero l’arresto o peggio.

Gli studenti presenti hanno posto molte domande; qualcuno ha anche chiesto se la Giornata della Memoria potesse cambiare significato alla luce del conflitto attuale. L’ospite ha risposto che quella celebrazione non deve e non può cambiare: si tratta di eventi storici distinti. Tuttavia, ha sottolineato come a volte venga usata per giustificare certe azioni dello Stato israeliano.

Un’altra domanda riguardava i coloni: “Perché non vengono puniti?”. Un video mostrava il ministro delle Finanze israeliano mentre donava veicoli ai coloni, strumenti poi usati per oltraggiare i palestinesi. Un messaggio chiaro: invece di essere sanzionati, spesso ricevono supporto.

Il cuore del conflitto rimane la terra. Due popoli rivendicano lo stesso luogo come patria. Gli israeliani cercano sicurezza e riconoscimento, i palestinesi invece, chiedono libertà e dignità, in mezzo a ciò ci sono però muri, check-point, paura e dolore. La Cisgiordania è diventata il simbolo più evidente di questa ferita: un luogo dove ogni giorno si decide il destino di due popoli che, in fondo, desiderano la stessa cosa: vivere in pace nella propria terra.

Bianca Genta

 

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